Qualche giorno fa ho letto su Facebook queste parole di Virginia Woolf tratte da La morte della falena e altri saggi del 1942.
Sono state lo spunto per una serie di riflessioni su “gli angeli dentro di noi” a partire dall’Angelo dell’Incombenza.
Ho ucciso l’angelo del focolare.
È stata legittima difesa.
Mi accorsi che se volevo recensire dei libri, dovevo combattere contro un certo fantasma.
E il fantasma era una donna, e quando imparai a conoscerla meglio la chiamai come la protagonista di una famosa poesia, la chiamai l’Angelo del focolare.
Era lei che quando scrivevo una recensione si metteva in mezzo tra me e il mio foglio.
Era lei che mi angustiava e mi faceva perdere tempo e mi tormentava a tal punto che alla fine la uccisi. Voi che appartenete a una generazione più giovane e più felice forse non capite che cosa intendo per Angelo del focolare.
Proverò a descrivervela il più brevemente possibile.
Era infinitamente comprensiva.
Era estremamente accattivante.
Era assolutamente altruista.
Eccedeva nelle difficili arti del vivere familiare.
Si sacrificava quotidianamente.
Se c’era il pollo, lei prendeva l’ala; se c’era uno spiffero, ci si sedeva davanti lei; insomma era fatta in modo da non avere mai un pensiero, mai un desiderio per sé, ma preferiva sempre capire e compatire i pensieri e i desideri degli altri.
E soprattutto(non occorre dirlo) era pudica. Il pudore era ritenuto la sua bellezza piu grande, i suoi rossori il suo più bell’ornamento. A quei tempi (gli ultimi della Regina Vittoria) ogni focolare aveva il suo Angelo.
E quando incominciai a scrivere me la trovai davanti alle prime parole.
L’ombra delle sue ali cadevano sulla mia pagina; sentivo nella stanza il fruscio delle sue gonne.
Non appena presi in mano la penna per recensire il romanzo di quell’uomo famoso, insomma, lei mi scivolò alle spalle sussurrandomi:
« Mia cara, sei una ragazza giovane. Stai scrivendo di un libro che è stato scritto da un uomo. Sii comprensiva; sii tenera, lusinga, inganna, usa tutte le arti e le astuzie del nostro sesso. Non far mai capire che sai pensare con la tua testa. E soprattutto, sii pudica. »
E fece come per guidare la mia penna.
Ora voglio registrare l’unico gesto per cui mi assumo qualche credito, anche se di diritto il credito va dato a certi miei ottimi antenati che mi lasciarono una certa somma di denaro (facciamo cinquecento sterline I’anno?), sicché non mi trovavo nella necessità di dipendere esclusivamente dalle mie grazie per sopravvivere.
Mi voltai e l’afferrai per la gola. Feci del mio meglio per ucciderla.
La mia giustificazione, se mi avesse trascinata in tribunale, sarebbe stata che avevo agito per legittima difesa.
Non l’avessi uccisa, lei avrebbe ucciso me.
Avrebbe succhiato la vita dai miei scritti.
Perché, e me ne resi conto subito appena impugnata la penna, non si può recensire neppure un romanzo senza pensare con la propria testa, senza esprimere quella che secondo noi è la verità sui rapporti umani, sulla morale, sul sesso.
E di tutti questi problemi, secondo l’Angelo del focolare, le donne non devono parlare liberamente e apertamente; le donne devono ammaliare, devono conciliare, devono, per dirla brutalmente, dire bugie se vogliono avere successo.
Perciò, ogni volta che avvertivo l’ombra della sua ala sulla pagina, o la luce della sua aureola, afferravo il calamaio e glielo scagliavo contro.
Ce ne volle per farla morire. La sua natura fantastica le dava un vantaggio. È molto più difficile uccidere un fantasma che una realtà.
Credevo di averla liquidata e invece eccola li di nuovo.
Benché mi lusinghi di averla uccisa infine, fu una lotta durissima; che richiese del tempo che sarebbe stato più utilmente impiegato a imparare la grammatica greca; o a girare il mondo in cerca di avventure .
Ma fu una vera esperienza; un’esperienza che doveva toccare a tutte le donne scrittrici a quell’epoca.
Uccidere l’angelo del focolare faceva parte del mestiere di scrittrice.
Un piccolo passo verso la Gioia di Essere.
Immagine L’angelo del focolare di Max Ernst