Andare in brodo di giuggiole è una frase utilizzata esclusivamente nel significato figurato di “andare in solluchero, uscire quasi di sé dalla contentezza”. L’espressione originaria, di provenienza toscana, era andare in broda di succiole. La succiola è una castagna che si usa cuocere nell’acqua con la sua scorsa. L’uso di questa espressione compare già nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca nel 1612.
Nel corso del tempo “il brodo di succiole” s’è trasformato in “brodo di giuggiole” intendendo i frutti del giuggiolo, probabilmente per la maggiore diffusione e utilizzo di quest’ultimi. Le giuggiole venivano infatti impiegati sia in medicina, per decotti contro la tosse, sia in cucina, per marmellate e confetture.
Nel Lessico dell’infima e corrotta italianità (1881) Pietro Fanfani e Costantino Arlia hanno precisato il corretto uso delle due espressioni: “Dicono Andare in broda di giuggiole per Godere di molto di chicchessia, Averne somma compiacenza, Sdilinquire dal piacere, ma dicono male; rettamente s’ha a dire Andare o Andarsene in broda di succiole, che è l’antico modo Andare in brodetto o in guazzetto, perché le giuggiole non si lessano, come le castagne o marroni sbucciati, che si dicono succiole, o più comunemente ballotte; e se le si cuociono, se ne fa con altri ingredienti una scottatura per la tosse, non si fa una broda”.
Al di là delle analisi lessicali e delle ricerche storiografiche, il detto “andare in brodo di giuggiole” è ancor oggi un’espressione largamente utilizzata nel linguaggio comune per indicare uno stato d’animo particolarmente gioioso e piacevole.
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