Chi mi conosce sa della mia personale quarantena di quasi due anni fa quando, a causa di un “bizzarro” incidente e la conseguente frattura scomposta del perone, dovetti stare due mesi ferma, senza poggiare il piede a terra. 60 giorni in casa e molti di più prima di poter riprendere a camminare con agio e soprattutto una sana relazione con l’esterno, con l’altro. Infatti, anche dopo aver ripreso a camminare sulle mie due gambe, ci volle tempo, impegno e coraggio prima di sentirmi al sicuro in mezzo alle persone.
Insomma, per dirla con il linguaggio attuale, le fasi 2 e 3 furono più impegnative e intense della fase 1, dove tutto sommato stavo “tranquillamente” in casa, nella mia crisalide.
Mi ci volle tempo prima di non sentirmi più minacciata da ogni persona che camminava veloce e che poteva potenzialmente farmi cadere (oggi potremmo dire, contagiare); prima di smettere di contrarre i muscoli ad ogni ostacolo sulla via, ad ogni pericolo reale o immaginato (possibili positivi asintomatici?); prima di sentirmi sufficientemente stabile da riprendere a ballare (abbracciare?), monitorando in continuazione dolore, disequilibri, distanza.
Ecco, la distanza. Qual è e quale sarà la giusta distanza dall’altro ora che possiamo riprendere ad incontrarci?
Paura, ansia, tensione, morte, immagini sconvolgenti, crisi economica, misure di sicurezza, separazione, convivenza forzata, mancanza di visione: il nostro sistema nervoso, molto più di quello immunitario, è stato messo a dura prova in questa quarantena. Ha bisogno di ritornare in equilibrio, non di essere altresì sollecitato. Stiamo per entrare in una nuova fase, ancora più delicata, nella quale sono fondamentali tre cose, a mio parere:
– Darci tempo, spazio, ascolto, compassione, senza giudicare e giudicarci, con presenza, con consapevolezza, chiedendo aiuto quando ne abbiamo bisogno;
– Avere fiducia in noi stessi, nelle nostre sensazioni e intuizioni, nelle nostre risorse, nel nostro corpo, nel nostro sistema immunitario, fiducia nell’altro, nelle relazioni, nella bellezza dell’Essere umano, offrendo e ricevendo sostegno in una sana vicinanza sociale;
– Immaginare una Nuova Umanità, dando campo libero alle nostre cellule immaginative, così come fanno i bruchi per diventare farfalle, avere la visione di “una nuova dimensione della vita, … un’umanità con radici di felicità e comprensione reciproca“, operando insieme affinché ciò accada.
Credo che sia per quest’ultimo ed essenziale aspetto che le fiabe della serie Il Coronavirus raccontato dai nostri bisnipoti abbiano avuto così tanta eco. Con Ciro Buonre abbiamo avuto un bellissimo dialogo al riguardo in una trasmissione andata in onda su web Radio Olistica 11. Puoi sentirne qui la registrazione Sempre a proposito della fiaba e sempre grazie anche all’aiuto di Ciro, ho in serbo un progetto che mi piace molto e spero piacerà anche a te. Ne darò maggiori informazioni nella prossima newsletter, se tutto procede speditamente.
Per una Nuova Società diventa essenziale un nuovo linguaggio, servono parole nuove, occorre ridare valore alle parole che lo hanno perso nel tempo, recuperare quelle piene di significato delle lingue più antiche. Su questa riflessione è nata l’idea di un piccolo sondaggio a cui ti invito a partecipare.
Queste intanto le mie due “nuove parole”:
FIDUCIA Fiducia in sé, nel proprio corpo, nel proprio sistema immu-nitario, nelle proprie risorse, nel sostegno delle relazioni, nell’essere uma-no, nel futuro, nel senso di tutto ciò, anche se non lo comprendiamo, in una visione più ampia, in una Nuova Umanità, nell’ab-bondanza di Madre Terra
MUDITAParola sanscrita che significa “gioire della gioia dell’altro” in un’uma-na reciprocità, senza invidia, rancore o giudizio.
Un piccolo passo verso la Gioia di Essere