Atlante delle emozioni umane è un interessante libro pubblicato da UTET nell’aprile del 2017. E’ la traduzione, a cura di Violetta Bellocchio, di The Book of Human Emotions. An Encyclopedia of Feeling from Anger to Wanderlust di Tiffany Watt Smith, storica culturale, ricercatrice presso il Centre for the History of the Emotions di Londra, dove si occupa di indagare la storia dell’imitazione compulsiva: dalla frenologia di epoca vittoriana ai più recenti studi sui neuroni specchio.
Il sottotitolo italiano recita “156 emozioni che hai provato, che non sai di aver provato, che non proverai mai”. Quello che mi ha incuriosito e stimolato di questo libro non sono stati il numero e la descrizione di emozioni conosciute, anche se più o meno sperimentate, quanto piuttosto quegli stati d’animo molto precisi e inconfondibili, e a cui però spesso non ho saputo dare un nome e che invece trovano una definizione in qualche angolo del mondo, in qualche lingua ignota. L’esempio più famoso, ormai entrato nel linguaggio comune, è saudade, parola portoghese che indica “il desiderio malinconico di qualcosa, o qualcuno, che è molto lontano o perduto”. Il libro è pieno di queste parole, per esempio, gli inuit chiamano iktsuarpok il miscuglio di ansia, nervosismo, eccitazione e felicità che prova chi aspetta l’arrivo di ospiti a casa, o la risposta a una mail importante; per i finlandesi, kaukokaipuu è l’inspiegabile nostalgia per un posto dove non siamo mai stati; gli spagnoli chiamano vergüenza ajena l’imbarazzo empatico di chi assiste alle figuracce altrui.
Alla lettera M ho trovato MUDITA, un termine proprio del Buddismo, molto legato ai temi di questo sito. “Guardare un’altra persona che sorride non è sempre una cosa semplice. Magari stiamo facendo un giro della sua nuova bellissima casa, o stiamo ascoltando il racconto dello splendido pomeriggio passato con i nipotini allo zoo, e sentiamo che il nostro cuore batte di gioia insieme al loro. Ma dietro le nostre frasi gentili potrebbe esserci anche una punta di invidia, qualcosa di arido e avvizzito. A volte come diceva Gore Vidal <Non basta avere successo: bisogna che i nostri conoscenti falliscano>.
Per Siddharta Gautama, meglio noto come Buddha, che visse tra il V e il IV secolo a.C., la gioia non era una risorsa limitata su cui litigare o a cui avevano diritto soltanto pochi fortunati. La gioia era infinita, illimitata. Per Siddharta la parola mudita esprimeva la piena esperienza di una GIOIA (e non di INVIDIA o RISENTIMENTO) che si provava a venire a sapere le cose belle accadute a qualcun altro. Secondo lui, il puro fatto di poter provare mudita in prima battuta era la prova che la felicità degli altri non diminuisce la vostra: la aumenta.“
Non a caso ho scelto di dare nome Mudita alla giovane protagonista di Il Corona Virus raccontato dai nostri bisnipoti.
Se vuoi leggere di altre emozioni trovi qui un estratto del libro.
Un piccolo passo verso la Gioia di Essere.