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“Nonnabis ma come avete fatto tutto quel tempo a stare separati, a non abbracciarvi, stringervi, chiusi in casa. Non vi sentivate soli?”

Nonnabis ascolta la mia domanda in silenzio, lo sguardo un pò assente come se non fosse più qui con me ma tornata indietro a quei giorni. Si fa pensierosa, quasi triste. Le spalle si chiudono piano piano e la schiena si incurva, una lacrima scende dal suo occhio sinistro.

Mannaggia a me. Perché le ho fatto questa domanda? E’ da tempo che ne avevo il desiderio in realtà e oggi dopo le danze e quello che mi ha raccontato ieri, ho preso coraggio e gliel’ho fatta.

“Nonnabis che succede? Scusa non volevo intristirti”

“Non c’è nulla da scusarti cara Mudita. Si, sono stati giorni difficili. Non perché ci sentivamo soli, non lo eravamo. Ma per tutti gli interrogativi, le paure, il senso di disorientamento, la fragilità e la vulnerabilità che stavamo toccando con mano dopo averle evitate per tanto tempo. Ti parlerò di questo un’altra volta, te lo prometto. Non ora” Nonnabis fa una lunga pausa, qualche respiro profondo e poi all’improvviso il suo volto si illumina in un sorriso meraviglioso, quel sorriso che amo tanto.

“Ti ho mai parlato di “Affacciati alla finestra Italia mia”?

Sapevamo tutte e due che me l’aveva raccontato già tante volte, ma era sempre un piacere per entrambe rivivere, lei e io con lei ascoltando, quell’appuntamento giornaliero del periodo della quarantena.

All’epoca usavano tanto i social per comunicare fra di loro, non avevano ancora, o non avevano più, la capacità telepatica. La nonnabis dice che con questi social erano riusciti già dai primissimi giorni a darsi un appuntamento che, giorno dopo giorno, si è protratto gioiosamente per tutto il corso della quarantena. Si trattava appunto di affacciarsi alla finestra, o al balcone, all’ora stabilita per fare un’azione comune. Una volta hanno applaudito a tutto il personale medico, paramedico e ausiliario che si stava occupando con abnegazione ai malati ricoverati, parecchi in fin di vita, nei vari ospedali del paese. E’ stato un applauso clamoroso da un palazzo all’altro della via, da un quartiere all’altro della città, da una città all’altra, da Nord a Sud dell’Italia. Se lo meritavano. Erano settimane e settimane che lavoravano duramente e l’Italia intera era piena di gratitudine nei loro confronti.

Lacrime, di commozione questa volta, rigavano il volto della nonnabis al ricordo dell’applauso e ancor più del primo appuntamento alla finestra. Era successo proprio il giorno prima dell’applauso.

Alle 18 in punto si era affacciata alla finestra. Nel palazzo di fronte qualcuno era sul balcone, molti un po’ timorosi sbirciavano dalle finestre ancora chiuse. Qualcuno nel palazzo affianco si era ben attrezzato con un potente altoparlante, c’era chi aveva un tamburello, chi delle nacchere. Nonnabis aveva tirato fuori il suo tamburo sciamanico, non lo usava da tempo ed era proprio giunto il momento di rispolverarlo. E così ha iniziato a suonare, dapprima anche lei timidamente e poi sempre più forte, insieme agli altri, come un richiamo: “Sveglia gente, incontriamoci. Siamo uniti. Siamo presenti gli uni per gli altri”. Poco alla volta anche i più timidi erano usciti sul balcone, avevano iniziato a salutarsi con i propri strumenti, a sorridersi felici di ritrovarsi, anche se non si erano mai visti o salutati prima.

Il momento più bello era stato quando su un balcone al secondo piano della casa di fronte un bimbo, era uscito con la sua chitarrina.  Nonnabis dice che era più piccolo di me che sono grande e domani compio 7 anni. Il bimbo aveva preso la sua seggiolina, si era seduto e aveva iniziato a suonare insieme agli altri. Tutti gli sorridevano pieni di ammirazione e felicità e lui contraccambiava i sorrisi continuando a suonare, felice di fare anche lui la sua parte.

Nonnabis dice che in quel momento sentì chiaramente che ce l’avrebbero fatta. Che avrebbero superato quel brutto periodo e che ne sarebbero usciti più forti, più saggi, più autentici e vivi di prima. Lo dovevano a quel bimbo e a tutti i bambini, come me, che sarebbero venuti dopo. E così fu.

Chissà se la nonnabis mi racconterà mai degli interrogativi, delle paure e delle difficoltà dei quei giorni? Io spero proprio di sì. Ho quasi sette anni ormai, sono grande. Tu che dici?

(*) Affacciamoci compagnia è una magnifica iniziativa di Camillo Marcello Ciorciaro per sostenere la Croce Rossa tramite eventi d’arte on-line. Lo ringrazio per avermi dato l’opportunità di usare il magnifico nome della sua iniziativa.

QUI PUOI TROVARE LA VERSIONE AUDIO DI QUESTA FIABA

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NOTA. Questo racconto fa parte di una raccolta intitolata IL CORONA VIRUS RACCONTATO DAI NOSTRI BISNIPOTI. Ogni racconto può essere goduto separatamente o nell’ordine di narrazione:

1. Il coronavirus raccontato dai nostri bisnipoti
2. Fine della quarantena
3. Affacciamoci compagnia
4. Stare con quel che con quel che c’è per il tempo che ci vuole
5. Cuore e Cervello insieme
6. Una nuova fase

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